sabato 31 dicembre 2022

Melancholia contemporanea


Saluto l'anno vecchio con un nuovo numero della rivista Awand, fresca di stampa. Con un mio nuovo articolo per la rubrica "Libro d'artista", dedicata a
Quadrato quasi quasi magico di Roberto Piloni. Un'interpretazione inaspettata della Melancholia I di Durer.




martedì 29 novembre 2022

Petit Carnet de Montréal

De retour de mon voyage au Québec, pour le Salon du livre de Montréal, invitée par l'école MiMaster de Milan et la Bologna Children Book Fair, voici quelques images de la belle aventure, partagée avec Lorenzo Mattotti, Maria Sole Macchia et Sarah Mazzetti.

Di ritorno dal mio viaggio in Quebec, dal Salone del libro di Montreal, invitata dalla scuola di formazione MiMaster di Milano e la Bologna Children Book Fair, ecco qualche immagine della bella avventura, condivisa con Lorenzo Mattotti, Maria Sole Macchia e Sarah Mazzetti.






domenica 6 novembre 2022

Salon du livre de Montreal 2022

Invitée par la Foire du Livre de Bologne, je serai au Survival Corner (géré par l'école d'illustration MiMaster de Milan) au Salon du livre de Montreal dans quelques semaines.

Au programme, un workshop, une portfolio revue et une masterclass. Résérvations disponibles ici.

Un grand honneur et une expérience sans doute merveilleuse m'attend.



lunedì 17 ottobre 2022

AWAND

 


A partire dal numero della rivista AWAND appena uscito nelle librerie, una mia rubrica svilupperà il tema del libro d'artista attraverso il lavoro di artisti contemporanei che si sono misurati col medium. Inizio con Ode di Majakovskij, una tiratura limitata di Valeria Brancaforte che ne firma progetto grafico e xilografie. Nella rubrica si intercaleranno presenza italiana e straniera, proprio per dare uno sguardo il più possibile aperto a questo campo della ricerca artistica. Per informazioni sulla rivista, le sue intenzioni e la sua distribuzione, cliccate qui.

mercoledì 5 ottobre 2022

Duchamp e la Scatola verde





Di tutti i libri d’artista di Marcel Duchamp, la cosiddetta Boîte Verte rimane il più complesso ed enigmatico. Viene chiamata la Scatola verde per la carta color mallo di mandorla che la riveste, ma ha un altro nome: La mariée mise à nu par ses célibataires même, titolo che si legge perforato sul recto del cofanetto. Porta lo stesso titolo del Grande Vetro (ma senza la virgola) perché ne rappresenta tutta la gestazione e il processo creativo. Di quella virgola e di quella parola incongruente (“même”) hanno parlato molto critici e storici dell’arte, per trovarle un senso e una appartenenza. L’unica tuttavia da prendere in considerazione è, secondo la stessa definizione di Duchamp, la sua imprecisione, il fatto che la mancanza di nesso col resto urti e si sottragga alla logica della frase e quindi ad un ipotetico messaggio o spiegazione logica evidenti.

Edita a Parigi nel 1934 dall’editore Rrose Sélavy (lo stesso Duchamp in uno dei suoi travestimenti), la Boîte Verte è un multiplo a tiratura di 320 copie (più un’edizione di lusso di 10 copie con fotografie e un disegno originale) che contiene la riproduzione fedele degli studi preliminari del Grande Vetro. Il cofanetto racchiude 94 documenti, 77 note e schizzi e 17 immagini, riprodotti in collotipia o litografia, raggruppanti il lavoro preparatorio e di studio (dipinti, disegni, progetti, appunti, piccole note) che tra il 1911 e il 1915 Duchamp intraprese per il Grande Vetro. Tutti i pezzi del cofanetto sono riprodotti in modo preciso seguendo gli originali. È lo stesso Duchamp a presiedere alla scelta delle carte, i formati, persino la riproduzione degli strappi e delle piegature che ricopiano pari pari i vecchi documenti sciupati. 


Duchamp in seguito parlerà di come ritrovò casualmente tutto quel materiale in un cassetto, dodici anni dopo avere messo da parte il Grande Vetro (messo da parte, non finito, poiché si tratta di un incompiuto) e di come gli venne l’idea di ricopiarlo e renderlo fruibile. Disse: “Desideravo riprodurli il più esattamente possibile, feci così litografare tutto con lo stesso inchiostro che era stato adoperato per gli originali. Per trovare la carta identica dovetti rovistare tutti i cantucci e i buchi più inverosimili di Parigi. Dovemmo poi ritagliare trecento copie di ogni litografia aiutandoci con i modelli di zinco che seguivano il contorno degli originali”. E interrogato rispetto al grande lavoro che richiese riprodurre tutto il materiale, rispose con nonchalance che effettivamente l’impegno fu enorme, al punto da spingerlo a chiedere aiuto alla sua portinaia.

Ma facciamo un passo indietro. Tra il 1915 e il 1923, dopo una gestazione lunghissima, Marcel Duchamp realizza il Grande Vetro. Pur lasciandola incompiuta, la dichiarerà sempre essere la sua opera maggiore, e diventerà una delle opere più controverse ed enigmatiche del secolo scorso. 



Secondo le affermazioni dello stesso autore, il Grande Vetro doveva mostrare qualcosa di “invisibile ed imprevedibile… qualcosa che non si potesse percepire con gli occhi”. Così, sovvertendo le regole della pittura e della scultura tradizionali, che oramai sostiene gli diano la nausea, Duchamp inizia un lento e copioso studio per un’opera nuova, dove l’ironia e l’erotismo diventino il fulcro e il segreto motivo dell’azione creativa. Che nel Grande Vetro il tema centrale sia erotico, lo afferma lo stesso artista, precisando ironicamente: “In effetti, pensavo che l’unica scusa per fare qualcosa fosse di introdurre l’erotismo nella vita. L’erotismo è vicino alla vita, più vicino della filosofia o di qualunque altra cosa del genere”.

Se un cospicuo lavoro intellettuale accompagna il Grande vetro, a sollevarlo da un’eventuale cupezza o pesantezza ci pensano ironia e casualità, secondo un’attitudine che è insieme cifra e intento propri dell’artista. Il caso e l’ironia vengono accolti con entusiasmo quando il supporto di vetro si fende, per esempio. E ancora ricompaiono e indirizzano tutta la composizione dell’opera, fino alla Boîte verte, dove li ritroviamo nella scelta di non dare un ordine o una numerazione al contenuto: i documenti sono infatti inseriti nel cofanetto casualmente. Per scelta, infatti, non viene suggerita una sequenza che possa aiutare a ricostruire il pensiero che sta dietro al concepimento e al processo creativo del Grande Vetro. Secondo Duchamp è il caso che deve determinare l’ordine e creare eventuali collegamenti tra le cose. Ogni scatola di riproduzioni diventa quindi ironicamente unica. 

 

La mancanza di intellegibilità del titolo (e quanto fosse importante per Duchamp la scelta del titolo è nota) non ci aiuta a districare il mistero dei significati del Grande Vetro, La mariée mise à nu par ses celibataires, même. Il primo scherzo è nel titolo: in francese la parola “même” (stesso/anche) ha pronuncia uguale di “m’aime” (mi ama), che improvvisamente suggerisce un significato diverso, ambiguo. L’opera diventa un racconto, dalla trama complessa e misteriosa, dove i personaggi (la sposa, gli scapoli, i testimoni) agiscono tra strani e incongrui oggetti (setacci, macinatrici di cioccolata, mulini ad acqua, …), che alludono a tensioni erotiche irrisolte e contrastanti, desiderio e repulsione. Il tema è intricato e concettualmente complesso, addirittura senza soluzione, perchè il desiderio per la purezza è irrisolvibile, impossibile da attuare. Qualcuno ci ha visto in filigrana il mito di Diana e Atteone, altri un’analisi delle implicazioni sociali del matrimonio. André Breton ha definito l’opera come “l’interpretazione meccanicistica, cinica, del fenomeno amoroso: il passaggio della donna, dallo stato di verginità allo stato di non-verginità preso come tema di una speculazione fondamentalmente asentimentale”.

 


E torniamo alla Boîte verte. Secondo lo stesso Duchamp, doveva essere consultata guardando il Vetro, per aiutare la sua interpretazione, ma anche per consentirne una lettura diversa, evitare cioè una visione puramente estetica e tradizionale, in particolare “l’aspetto retinico che non mi piace”. Duchamp aveva affermato che “In fin dei conti il vetro non è fatto per essere guardato (con occhi “estetici”); doveva essere accompagnato da un testo di “letteratura”, il più amorfo possibile, che non prese mai forma; i due elementi, vetro per gli occhi e testo per l’orecchio e l’intelletto dovevano completarsi e soprattutto impedirsi l’un l’altro di prendere una forma estetico-plastica o letteraria”.


Viene messo a disposizione delle immagini un corollario fantastico, magico ed esoterico, cui si innesta un altro procedimento, squisitamente dada: il ready made. Ogni parola in Duchamp è un ready made, allo stesso modo in cui anche gli oggetti che mette in scena lo sono. Duchamp cioè trova e usa le parole ridefinendone i significati in contesti fluttuanti, mutevoli e nuovi. In questo modo l’arte assume il potere di raccontare la realtà in modo diverso, e con la modalità cambia anche il concetto di comunicazione e di trasmissione di un pensiero o di un racconto. 



È ancora André Breton il primo a dare una spiegazione della Boîte verte, spingendo però la sua interpretazione verso una forzatura, tutta riferita al surrealismo. È sua la prima recensione del libro d’artista di Duchamp, nella rivista Minotaure del 1935. L’obbiettivo di Breton pare subito quello di estrapolare dal complesso di documenti della Scatola un’interpretazione al Grande Vetro che accomuni l’opera di Duchamp alla poetica surrealista. Le tematiche sono riconducibili è vero a quelle surrealiste (eros e mistero in primis, scardinamento delle logiche tradizionali) ma la Scatola verde nasce con l’obbiettivo di delucidare il Grande Vetro e non di avvolgerlo ancor più nel suo ermetismo, nella sua apparente irrazionalità. Tutta la ricerca di Duchamp (e l’utilizzo del disegno tecnico nel Grande Vetro lo testimonia) vuole sopprimere il gesto dell’artista, togliere sensibilità e interpretazione alla rappresentazione, restituirla nella sua esattezza. Se si sceglie di mantenere una ambiguità di fondo è perché semmai si lavora con simboli, con concetti e temi vischiosi. Il mistero alza una sorta di autocensura: il tema è erotico, ma il desiderio rappresentato inesprimibile, ed è impossibile infrangere il confine del non esplicito: i celibi sono attratti dalla sposa vergine, ma la barriera imposta all’espressione del loro desiderio è insormontabile. Il tema della Mariée è molto complesso, tutt’altro che semplice e ha prodotto interpretazioni svariate e abbondanti. Al di là delle osservazioni particolari e dell’analisi dei dettagli e dei rimandi intellettuali, l’opera viene intesa come un lavoro concettuale sulla materia viva e carnale del desiderio, sia maschile che femminile, in relazione a ciò che la società consente della sua espressione. 



Certo il tema è prepotentemente scomodo e a suo modo scandaloso, ma la novità sta soprattutto nell’intera operazione artistica, davvero rivoluzionaria, sia da un punto di vista tecnico e concreto che teorico: sconvolgere il concetto stesso di fare artistico, sovvertirne la prassi, il metodo e le finalità. Attuare insomma un rinnovamento del linguaggio. Il valore dell’imperfezione, del caso, l’uso del frammento, sono tutti elementi portati ad una presenza e un valore nuovi ed insoliti. “Il movimento è la sosta, il pensiero l’inciampo, lo spostamento e lo stallo sono insieme retti da una logica ferrea e nello stesso tempo dal caos” secondo le parole di Bonito Oliva. 

 

A fronte di tutto questo, ci viene allora istintivo notare con divertimento come il libro d’artista di Duchamp non sia realmente un libro d’artista, ma un suo paradosso: non sfogliabile, non ordinato secondo una sequenza, con una nozione di tiratura piuttosto bizzarra, dal momento che sono riproduzioni fedeli e fatte a mano sì, ma secondo procedimenti meccanici e industriali, che non hanno nulla di artistico. 

 

Ricordiamo che la Boîte verte è la seconda di tre parti realizzate da Duchamp a completamento del Grande Vetro. La Scatola verde ha infatti ha un suo precedente nella Boîte del 1914 e un seguito nella Boîte blanche (À l’infinitif) del 1966. Tutte raccolte di documenti, studi ed appunti proposti dallo stesso artista come chiavi di lettura complementari al Grande Vetro.



Per questo articolo mi sono avvalsa degli scritti e delle lettere di Duchamp stesso (testi editi da Abscondita e Flammarion), di André Breton, di Michel Sanouillet e Pierre Cabanne (interviste e raccolte delle note di Duchamps pubblicati da Flammarion) e Bonito Oliva, sempre a introduzione di un saggio su Duchamp pubblicato da Abscondita). Le immagini della Scatola verde sono quelle della Collection Morel, le altre sono tratte dal sito del Philadelphia Museum of Art dove il Grande Vetro è conservato.

 

sabato 24 settembre 2022

Un bebé a Roma, un'intera poesia

A Roma con Susie Morgenstern alla presentazione di Pour toi bébé alla libreria Stendhal, il 16 e 17 settembre scorsi, ho parlato del mio lavoro di creazione sulle poesie scritte da Susie. Ecco il riassunto del bell'incontro.

Quando ho letto per la prima volta le poesie di Susie mi son detta: “Finalmente un libro per bebé pieno di dolcezza ma non stucchevole!”. E questa è stata la mia stella polare durante tutto il lavoro d’interpretazione dei testi e poi di realizzazione delle immagini: la tenerezza senza leziosità.

Un neonato è un essere umano agli esordi, che ha letteralmente appena iniziato ad esistere e che ha un incredibile potenziale, ancora inespresso. Per me questo ha una carica emotiva e un’energia fortissimi. Volevo farli sentire, innescarli. In più allo stesso modo dei versi di Susie, che sono volta per volta dolci, birichini, concreti, poetici o divertenti, ho cercato di esprimere questa energia attraverso la varietà.

Nelle poesie di Susie c’è la ricchezza di una vita che inizia, attraverso le piccole grandi conquiste quotidiane. Ci sono anche la condivisione, la presenza di un mondo attorno al neonato, un contesto genitoriale e familiare che si prende cura di lui, lo segue, lo aiuta e lo guarda crescere. Il bambino non è cioè da solo nella sua avventura appena iniziata. 


 

Le immagini che accompagnano le parole mostrano l’impresa coraggiosa e costante di apprendistato del bebé. A volte però le illustrazioni volano più lontano. Esse immaginano con ironia delle grandi gesta dietro le piccole, in un futuro fantastico, grandioso e divertente: il bebé alla conquista del Mondo, letteralmente, cavalcando una balena, un leone alato… E poi il bambino nostromo, cavaliere, ammaestratore d’animali…




In questa varietà c’è posto anche per altri aspetti e sentimenti, così commoventi e veri: certe immagini mostrano allora la creatura fragile e tenera che si tiene tra le braccia, che si vuole proteggere, quella che si accoccola vicino a noi. Delle immagini più intime, o notturne, silenziose e poetiche.


 

Le illustrazioni nascono a volte come eco ai versi, si riferiscono direttamente alle immagini e alle situazioni evocate dalle parole. Altre immagini invece nascono cullate dalle parole, interpretano una parola che agisce da scintilla e costruiscono un’atmosfera più vicina al sogno, al mistero. Ciò che in fondo è il bambino: un mistero.



Il mio sforzo costante è stato d’esprimere tutto questo: tutta questa grande ricchezza e complessità, con semplicità, dolcezza e levità. Per arrivare a questo ho attinto all’esperienza, all’osservazione, all’immaginazione, e naturalmente allo sguardo mai banale di Susie, sempre con lo scopo di creare o ricreare delle atmosfere (situazioni, emozioni, gesti, epifanie) che possono arrivare a tutti quelli che vivono o hanno vissuto la stessa esperienza, al di là delle differenze.



Parlando del processo creativo, lavorare all’insieme era stavolta più che mai fondamentale, non per raccontare una storia, evidentemente, ma per trovare coerenza nella varietà. Il rischio era infatti quello di avere un insieme di schegge, di frammenti senza unità. Volevo a questo proposito evitare le pagine bianche solamente decorate da piccoli elementi slegati e didattici. Sono andata avanti quindi per gradi: in un primo tempo appuntando senza troppo trattenermi per esplorare il più possibile. In una seconda fase ho scremato. A questo punto ho potuto abbandonarmi in modo più mirato ai giochi grafici e figure che le parole mi suggerivano. 


L’albo è costruito come una sequenza di tavole doppie che inizialmente intercalavano delle vaste immagini con soggetti in primo piano e dalle ambientazioni varie, fantastiche o realistiche, a delle pagine ricche di dettagli su uno spazio-pagina più concettuale. Alla fine tutto questo è stato sacrificato per delle ragioni di semplicità (ahimè).


 

L’attenzione al tono generale doveva essere vigile sul carattere di ogni poesia. Alcune infatti sono poetiche, oniriche o contemplative, dal fraseggio più dolce. Altre sono più divertenti, rapide, ritmate e riferite alla realtà quotidiana. Talvolta l’immagine visualizza dei passaggi e alcuni elementi della poesia. Altre volte invece essa evoca un tema centrale. Altre ancora l’immagine crea, a partire dalla poesia, uno sviluppo immaginario e si appoggia su echi, rimandi, ricordi (come in musica). È la ricchezza di questa raccolta e secondo me bisognava mantenerla. L’invenzione delle immagini doveva in qualche modo seguire l’invenzione delle parole. Infine il mio sforzo nel gestire tutta questa complessità prevedeva uno story-board con un tono ben caratterizzato. Ho lavorato molto sul tono, che è nello stesso tempo il carattere, lo stile, un andamento (ancora una volta la musica…). Il progetto dell’albo era strutturato sul colore, su una dominante ovattata di blu di Prussia e le sue declinazioni e varianti, che punteggiavano tutte le pagine. Poi invece si è preferito schiarire ed epurare i fondali per giocare su immagini più aeree e emergenti dal bianco. Come dire che mi è toccato scendere dalla mia nuvola di visioni sensibili per essere riportata ad un mondo più nitido, regolare e formale…


 

A volte il bambino si “traveste”, secondo l’ispirazione delle parole: è nostromo, domatore di leoni alati, cavaliere, … In certi casi, nei primi schizzi, il bebé vestiva delle tutine che ricordavano il piumaggio degli uccelli (novello Pappageno) o aveva delle ali. Nelle immagini realizzate sussiste ancora in parte questa idea di bambino-uccello, di creatura leggera dalle ali di farfalla. Gli uccelli (come l’elemento acquatico e vegetale) ritorna spesso e anche di più nei primi studi. Erano i punti cardine sui quali poggiava tutto il libro. 



Mr. James M. Barrie era senz’altro affacciato da qualche parte e guardava, assieme a tutta l’umanità delle favole classiche riunita. Una presenza benevola che spero sia ancora presente nell’albo e che segua con lo sguardo il nostro stesso sguardo di lettore/spettatore, come in uno specchio.

 


 

 

Un bébé à Rome, tout un poème

A Rome avec Susie Morgenstern à la présentation de Pour toi bébé à la librairie Stendhal, le 16 et 17 septembre derniers, j'ai pu parler de mon travail de création sur les poèmes écrits par Susie. Voici le résumé de cette belle rencontre.

Quand j’ai lu pour la première fois les poèmes de Susie je me suis dit: “Enfin, un livre pour bébés plein de douceur mais sans mièvrerie!”. Et c’est cela qui a été mon étoile polaire tout au long du travail d’abord d’intérpretation du texte et puis de réalisation des images: la tendresse sans affectation.

Un bébé c’est un être humain qui débute, qui vient carrément d’exister et qui a un potentiel inouï, pas encore exprimé. Ceci a pour moi une charge émotionelle et une énergie très fortes. Je voulais faire sentir tout cela, le déclencher. De plus, à l’images des poèmes de Susie qui tour à tour sont doux, éspiègles, vrais, poètiques ou drôles, j’ai essayé d’exprimer cette énergie par la variété. 


Dans les poèmes de Susie il y a la richesse d’une vie qui commence à travers les petites grandes conquètes du quotidien. Et il y a aussi le partage, la presence d’un monde autour du bébé, un contexte parentale et familiale qui se prend soin de lui, le suit, l’aide et le regarde grandir. L’enfant n’est pas seul dans son aventure de vie qui débute. 



Les images accompagnant ces mots montrent l’enterprise courageuse et constante de l’apprentissage du bébé. Mais parfois les illustrations s’evolent plus loin: elles imaginent avec ironie de grandes gestes derrières les petits, dans un futur fantastique, grandieux et drôle: le bébé à la conquète du Monde, carrément, chevauchant une baleine, un lion ailé. Et puis le bébé capitaine de navire, chevalier, dresseur d’animaux... 




Dans cette varieté il y a aussi la place pour d’autres aspects et sentiments, si poignants et vrais: certaines images montrent alors la creature fragile et tendre qu’on garde entre ses bras, qu’on veut proteger, celle qui se blottit contre nous. Des images plus intimes, ou nocturnes, silencieuses ou poètiques.



Les illustrations naissent parfois en échos aux poèmes, se réfèrent directement aux images et aux situations que les mots évoquent. En revanche, d’autres images naissent bercées par les mots, elles interprètent une parole qui agit d’étincelle et construisent une atmosphère plus proche du rêve, du mysthère. Ce que l’enfant est, au fond: un mysthère.



Mon effort constant a été d’exprimer tout ceci, toute cette grande richesse et complexité, avec simplicité, douceur et légèreté. Pour arriver à cela j’ai puisé à l’expérience, à l’observation, à l’imagination, et bien sûr au regard jamais banale de Susie, toujours dans le but de créer ou recréer des atmosphères (situations, émotions, gestes, épiphanies) qui peuvent atteindre tous ceux qui vivent ou ont vécu la même experience, au dèlà des différences.



Au niveau du processus, travailler à tout l’ensemble en même temps c’était plus que jamais fondamentale cette fois-ci, non pas pour raconter une histoire, bien évidemment, mais pour trouver cohérence dans la varieté. En effet, le risque était d’avoir un ensemble d’éclats, de fragments sans lien. Je voulais à ce propos éviter les pages blanches juste habillées avec des petits éléments décousus et didactiques. J’ai donc procedé par degrés: dans un premier temps j’ai tout couché sur papier, sans trop me retenir, pour explorer le plus possible. Une deuxième phase a suivi: écrémer. A ce moment là j’ai pu m’abandonner de manière plus ciblé aux jeux graphiques et d’images que les mots évoquaient en moi. 




L’album ést construit comme une succéssion de planches en double pages, qui au début intercalaient des images larges avec des sujets au gros plan et aux ambiances diverses, fantastiques ou réélles, à des pages riches en détails sur un espace-page plus conceptuel. A la fin, tout ceci a été sacrifié pour des raisons de simplicité (hélas).



L’attention au ton générale devait vigiler sur le caractère de chaque poème. En effet, certains sont poètiques, oniriques ou contemplatifs, aux phrasé plus doux. D’autres sont plus drôles, rapides, rythmés et portés sur une réalité quotidienne. Parfois l’image visualise des passages ou des éléments du poème. D’autres fois elle évoque un thème centrale. D’autre fois encore elle crée, à partir du poème, un développement de l’imaginaire, ou elle s’appuie sur des échos, des renvois, des rappels (comme en musique). C’est la richesse de ce recueil et, pour moi, il fallait garder tout cela. L’invention des images devait en quelques sorte suivre l’invention des mots. Enfin, mon effort à gérér toute cette complexité prévoiait un chemin de fer avec un ton bien caractérisé. J’ai beaucoup travaillé au ton, ce qui est à la fois le caractère, le style, un mouvement (comme en musique, encore...). La projection de l’album était structuré sur la couleur, sur une dominante feutré du bleu de Prussie et ses nuances et variations qui pointillaient toutes les pages. A la fin on a préféré éclaircir et épurer les fonds, pour jouer sur des images plus aériennes et émergeant du blanc. Comment dire qu’Il m’a fallu déscendre de mon nuage de visions sensibles pour être ramenée à un monde plus net, regulier et formel…



Parfois l’enfant a des “déguisements” selon l’imaginaire que les mots inspirent: il est capitaine de navire, dresseur de lions ailés, chevalier, … Dans certains cas, dans les premiers crayonnés, le bébé portait des grenouillères qui rappellaient le plumage des oiseaux (un nouveau Pappageno) ou il avait des ailes. Dans les images réalisées subsiste encore en partie cette idée d’enfant-oiseux, de créature légère aux ailes de papillon. Les oiseaux (ainsi que l’élément aquatique et celui végétal) retourne souvent et encore plus dans les premières études. C’étaient les pivots sur lesquels se bâtissait tout le livre. 




Mr. James M. Barrie était sans doute accoudé quelque part en regardant, avec toute l’humanité réunie des fables classiques. Une présence bienveillante que j’espère encore présente dans l’album et qu’elle suive du regard notre même regard de lecteur/spectateur, comme dans un miroir.


domenica 4 settembre 2022

Pour toi bébé

Pour toi bébé, sur des poèmes de Susie Morgenstern, vient de sortir. Bientôt, moi et Susie, nous allons l'accompagner pour ses premiers pas... Grand début à Rome, à la librairie Stendhal, le 16 et 17 septembre.

Pour toi bébé, con poesie di Susie Morgenstern, è appena uscito. Presto io e Susie l' accompagneremo nei suoi primi passi... Il grande debutto sarà a Roma, alla libreria Stendhal, il 16 e 17 settembre.




domenica 31 luglio 2022

Les Contes du Vaporetto e i luoghi come personaggi

Nell'ultimo numero della rivista The Romaner un mio articolo racconta il lavoro preparatorio per Les Contes du Vaporetto, tra schizzi, prove, ripensamenti e chilometri di disegno. Potete leggerlo interamente qui (per ora la rivista è solo on-line). Per darvene un assaggio, pubblico di seguito la prima parte del pezzo:

I LUOGHI COME PERSONAGGI

Il mio nuovo albo che interpreta un testo di Didier Lévy, Les Contes du Vaporetto, è appena uscito (in Francia per il momento) ed è stato presentato in gennaio alla libreria Stendhal di Roma, con una selezione di originali tratti dal libro.

Non è la prima volta che in un mio albo una città che serve da teatro al racconto, si definisce poi come un personaggio tra quelli raccontati. E’ stato il caso di Roma ne La louve et l’anglais, del 2018. O Vienna ne L’Histoire extraordinaire d’Adam R., del 2017 (sempre su testi di Didier Lévy), per fare alcuni esempi. Penso sia dovuto alla mia propensione a rivestire i luoghi di valore e carattere propri, al pari di personaggi che si muovono in scena assieme agli altri protagonisti della rappresentazione, e non solo a considerare quei luoghi una spiccia decorazione da fondale dipinto. 

Nell’ultimo libro, la città che scorre attraverso le pagine insieme ai personaggi, nel divenire della storia, è una città che mi è particolarmente familiare e di cui conosco bene l’aspetto, l’attitudine e la sostanza: Venezia. Per presentarla come l’ho imparata fin da piccola e l’ho vista cambiare nel corso degli anni, ho considerato tutti i mezzi in mio potere. 



Il potere di un illustratore è limitato da tante cose. Nella pratica deve anzitutto sempre avere ben presente il referente del proprio lavoro (in questo caso i ragazzi) e sottostare ad un formato, un numero di pagine, piegarsi alla visione bidimensionale, tenere conto del limite della tecnica, tanto per raccontare solo alcuni dei confini che delimitano il suo spazio d’azione. Tacendo ovviamente quelli non meno spinosi e impegnativi del rapporto con l’editore, l’autore, il mercato. Ma l’illustratore è anche un po’ mago, nella misura in cui riesce ad usare l’immaginazione e a renderla visibile agli altri. Ed è anche un mago quando riesce a muoversi con levità attraverso e nonostante tutti i limiti, senza darlo a vedere.



Venezia com’è? Mi sono chiesta. È anzitutto la vita che scorre, mi sono risposta. Così ho scelto di raccontare le tre brevi storie narrate nell’albo in un formato orizzontale e mobile. A volte le pagine si squadernano a formare trittici fluidi, che continuano anche nelle immagini successive e le uniscono. La città e l’andamento della lettura (da sinistra a destra) seguono il fluire delle acque nei canali, la deambulazione dei personaggi, ricreando un continuo senso del movimento che è quello del mutare tipico della città lagunare. Venezia cambia, lo fa continuamente. Là la luce e l’acqua sono in continuo mutamento, e dialogo.




Il libro ha una struttura più precisa e rigorosa di quel che appare a prima vista. Anzitutto le tre storie raccontate, due iniziali più brevi, l’ultima più lunga, corrispondono alle stagioni: primavera, estate ed insieme autunno/inverno. La tavolozza gira tutta intorno al rosso veneziano, come fosse un perno sul quale ruotano tutte le altre sfumature, affini, complementari o contrastanti, ma sempre a cercare un’armonia d’insieme che rispecchi il cromatismo della città vera. Nel corso del libro (e dello scorrere temporale delle stagioni rappresentate in quello più simbolico della lettura) quel rosso si fa più intenso, si accompagna via via a colori più caldi che squillanti ed infine si incupisce ed è controbilanciato da grigi molto chiari. I riferimenti cromatici sono stati tanti amatissimi pittori veneti come Tiziano, i Bellini, Tintoretto (che appare ad un certo punto del libro sull’uscio di casa col suo gatto), Canaletto e anche gli stranieri romantici come Turner, ma è soprattutto Vittore Carpaccio e i suoi teleri per la Scuola Grande di San Giorgio, che posso dire abbiano dato il tono a tutto il libro. La parte più difficile cromaticamente è stata restituire il colore dell’acqua, che si vorrebbe credere e ritrovare azzurra, ma nella realtà non lo è, perché è verde, ocra, bruna. Mi sono presa anche delle libertà, ovviamente. Ho scaldato i bianchi, stemperato in rosa i rossi accesi. A volte ho trattato gli orizzonti non secondo la legge leonardesca degli azzurrini, ma illuminando in modo improbabile di giallo rosato le isole e gli sfondi, quasi fossero dorati mosaici bizantini, piccoli gioielli che appaiono quando meno te l’aspetti anche nella città vera (come nella Cà d’Oro, negli interni delle chiese, nei porticati degli attracchi dei palazzi nobiliari sul Canal Grande…).


Come negli altri miei albi (in tandem con Didier Lévy ai testi) anche qui esistono più livelli di lettura, più temi. Considero l’albo illustrato un modo di raccontare per immagini, complementare al testo, e di cui possono godere tutti. Pur tenendo sempre un linguaggio visivo accessibile ad un pubblico di bambini e ragazzi, a cui mi riferisco primariamente, credo infatti che le indicazioni prescrittive di età siano materia discutibile, e che la rigidità di classificazione di lettura che impone la pianificazione editoriale o la vendita in certe librerie non siano auspicabili, ma in realtà estremamente limitanti. Così Les Contes du Vaporetto può essere semplicemente letta in famiglia come una raccolta di brevi racconti. Divertente e un po’ pazzo il primo, buffo e vagamente sentimentale il secondo, esilarante e misterioso l’ultimo. Ma è un libro illustrato cui si può chiedere un po’ di più. Che cosa per esempio? Verrebbe spontaneo chiedersi se non sia una guida alternativa di Venezia. Forse, perché no?, ma non nel senso scontato del temine. Se pure la città è riconoscibile attraverso scorci più che noti (Piazza San Marco, il Canal Grande, La Salute) ho inserito molti angoli della città meno consueti, ma che per me la definiscono pienamente e ai quali sono particolarmente attaccata: calli e fondamenta a nord della città, sul limitare del Ghetto, il Casino degli Spiriti, le Zattere, Santi Zuanepolo, Santa Maria dei Miracoli, tanto per fare alcuni esempi. La consuetudine di Venezia, il mio andar per la città muovendomi oramai con una bussola interna, ha forgiato nella mia memoria uno spazio urbano organico e pulsante, che ho voluto rendere nel libro, ma che mi sono divertita a restituire completamente scomposto e ricomposto secondo un altro ordine. Non sarebbe allora fruibile come una vera guida, come un itinerario per orientare il viaggiatore, ma piuttosto per aiutarlo a perdersi seguendo il flusso della sua flânerie, della sua deambulazione col gusto del godimento estetico e della scoperta. Perché quel che è rappresentato nell’albo esiste ed è riconoscibile, ma non sempre dove si trova. Ho invece piuttosto ricreato quello spaesamento che tante volte si vive a Venezia pensando di trovarsi in un punto e ritrovandosi poi altrove, questione di una svolta fatta troppo presto, di avere erroneamente riconosciuto un ponte, di avere tentato di improvvisare una scorciatoia affidandosi al senso dell’orientamento di terraferma, senza tenere conto della forma della città, del suo dedalo di calli a volte cieche e dell’interruzione improvvisa dei vicoli su un canale…


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giovedì 14 luglio 2022

Avant-première // Anteprima

Voici une avant-première qui me tient particulièrement à coeur: la sortie de mon prochain album, un album doux  sans mièvrerie pour les petits-petits. 28 images qui interprètent des poèmes de Susie Morgenstern tour à tour tendres, espiègles, rythmés, joyeux, cocasses ou rêveurs. A paraître le 24 août aux Editions Sarbacane.

Ecco un' anteprima che mi sta particolarmente a cuore: l'uscita del mio prossimo albo, un libro illustrato tenero  ma non stucchevole per i piccolissimi. Ventotto immagini che interpretano le poesie di Susie Morgenstern, volta per volta dolci, birichine, ritmate, gioiose, divertenti o sognanti. In uscita il 24 agosto per Sarbacane Edizioni.