Nell'ultimo numero della rivista The Romaner un mio articolo racconta il lavoro preparatorio per Les Contes du Vaporetto, tra schizzi, prove, ripensamenti e chilometri di disegno. Potete leggerlo interamente qui (per ora la rivista è solo on-line). Per darvene un assaggio, pubblico di seguito la prima parte del pezzo:
I LUOGHI COME PERSONAGGI
Il mio nuovo albo che interpreta un testo di Didier Lévy, Les Contes du Vaporetto, è appena uscito (in Francia per il momento) ed è stato presentato in gennaio alla libreria Stendhal di Roma, con una selezione di originali tratti dal libro.
Non è la prima volta che in un mio albo una città che serve da teatro al racconto, si definisce poi come un personaggio tra quelli raccontati. E’ stato il caso di Roma ne La louve et l’anglais, del 2018. O Vienna ne L’Histoire extraordinaire d’Adam R., del 2017 (sempre su testi di Didier Lévy), per fare alcuni esempi. Penso sia dovuto alla mia propensione a rivestire i luoghi di valore e carattere propri, al pari di personaggi che si muovono in scena assieme agli altri protagonisti della rappresentazione, e non solo a considerare quei luoghi una spiccia decorazione da fondale dipinto.
Nell’ultimo libro, la città che scorre attraverso le pagine insieme ai personaggi, nel divenire della storia, è una città che mi è particolarmente familiare e di cui conosco bene l’aspetto, l’attitudine e la sostanza: Venezia. Per presentarla come l’ho imparata fin da piccola e l’ho vista cambiare nel corso degli anni, ho considerato tutti i mezzi in mio potere.
Il potere di un illustratore è limitato da tante cose. Nella pratica deve anzitutto sempre avere ben presente il referente del proprio lavoro (in questo caso i ragazzi) e sottostare ad un formato, un numero di pagine, piegarsi alla visione bidimensionale, tenere conto del limite della tecnica, tanto per raccontare solo alcuni dei confini che delimitano il suo spazio d’azione. Tacendo ovviamente quelli non meno spinosi e impegnativi del rapporto con l’editore, l’autore, il mercato. Ma l’illustratore è anche un po’ mago, nella misura in cui riesce ad usare l’immaginazione e a renderla visibile agli altri. Ed è anche un mago quando riesce a muoversi con levità attraverso e nonostante tutti i limiti, senza darlo a vedere.
Venezia com’è? Mi sono chiesta. È anzitutto la vita che scorre, mi sono risposta. Così ho scelto di raccontare le tre brevi storie narrate nell’albo in un formato orizzontale e mobile. A volte le pagine si squadernano a formare trittici fluidi, che continuano anche nelle immagini successive e le uniscono. La città e l’andamento della lettura (da sinistra a destra) seguono il fluire delle acque nei canali, la deambulazione dei personaggi, ricreando un continuo senso del movimento che è quello del mutare tipico della città lagunare. Venezia cambia, lo fa continuamente. Là la luce e l’acqua sono in continuo mutamento, e dialogo.
Il libro ha una struttura più precisa e rigorosa di quel che appare a prima vista. Anzitutto le tre storie raccontate, due iniziali più brevi, l’ultima più lunga, corrispondono alle stagioni: primavera, estate ed insieme autunno/inverno. La tavolozza gira tutta intorno al rosso veneziano, come fosse un perno sul quale ruotano tutte le altre sfumature, affini, complementari o contrastanti, ma sempre a cercare un’armonia d’insieme che rispecchi il cromatismo della città vera. Nel corso del libro (e dello scorrere temporale delle stagioni rappresentate in quello più simbolico della lettura) quel rosso si fa più intenso, si accompagna via via a colori più caldi che squillanti ed infine si incupisce ed è controbilanciato da grigi molto chiari. I riferimenti cromatici sono stati tanti amatissimi pittori veneti come Tiziano, i Bellini, Tintoretto (che appare ad un certo punto del libro sull’uscio di casa col suo gatto), Canaletto e anche gli stranieri romantici come Turner, ma è soprattutto Vittore Carpaccio e i suoi teleri per la Scuola Grande di San Giorgio, che posso dire abbiano dato il tono a tutto il libro. La parte più difficile cromaticamente è stata restituire il colore dell’acqua, che si vorrebbe credere e ritrovare azzurra, ma nella realtà non lo è, perché è verde, ocra, bruna. Mi sono presa anche delle libertà, ovviamente. Ho scaldato i bianchi, stemperato in rosa i rossi accesi. A volte ho trattato gli orizzonti non secondo la legge leonardesca degli azzurrini, ma illuminando in modo improbabile di giallo rosato le isole e gli sfondi, quasi fossero dorati mosaici bizantini, piccoli gioielli che appaiono quando meno te l’aspetti anche nella città vera (come nella Cà d’Oro, negli interni delle chiese, nei porticati degli attracchi dei palazzi nobiliari sul Canal Grande…).
Come negli altri miei albi (in tandem con Didier Lévy ai testi) anche qui esistono più livelli di lettura, più temi. Considero l’albo illustrato un modo di raccontare per immagini, complementare al testo, e di cui possono godere tutti. Pur tenendo sempre un linguaggio visivo accessibile ad un pubblico di bambini e ragazzi, a cui mi riferisco primariamente, credo infatti che le indicazioni prescrittive di età siano materia discutibile, e che la rigidità di classificazione di lettura che impone la pianificazione editoriale o la vendita in certe librerie non siano auspicabili, ma in realtà estremamente limitanti. Così Les Contes du Vaporetto può essere semplicemente letta in famiglia come una raccolta di brevi racconti. Divertente e un po’ pazzo il primo, buffo e vagamente sentimentale il secondo, esilarante e misterioso l’ultimo. Ma è un libro illustrato cui si può chiedere un po’ di più. Che cosa per esempio? Verrebbe spontaneo chiedersi se non sia una guida alternativa di Venezia. Forse, perché no?, ma non nel senso scontato del temine. Se pure la città è riconoscibile attraverso scorci più che noti (Piazza San Marco, il Canal Grande, La Salute) ho inserito molti angoli della città meno consueti, ma che per me la definiscono pienamente e ai quali sono particolarmente attaccata: calli e fondamenta a nord della città, sul limitare del Ghetto, il Casino degli Spiriti, le Zattere, Santi Zuanepolo, Santa Maria dei Miracoli, tanto per fare alcuni esempi. La consuetudine di Venezia, il mio andar per la città muovendomi oramai con una bussola interna, ha forgiato nella mia memoria uno spazio urbano organico e pulsante, che ho voluto rendere nel libro, ma che mi sono divertita a restituire completamente scomposto e ricomposto secondo un altro ordine. Non sarebbe allora fruibile come una vera guida, come un itinerario per orientare il viaggiatore, ma piuttosto per aiutarlo a perdersi seguendo il flusso della sua flânerie, della sua deambulazione col gusto del godimento estetico e della scoperta. Perché quel che è rappresentato nell’albo esiste ed è riconoscibile, ma non sempre dove si trova. Ho invece piuttosto ricreato quello spaesamento che tante volte si vive a Venezia pensando di trovarsi in un punto e ritrovandosi poi altrove, questione di una svolta fatta troppo presto, di avere erroneamente riconosciuto un ponte, di avere tentato di improvvisare una scorciatoia affidandosi al senso dell’orientamento di terraferma, senza tenere conto della forma della città, del suo dedalo di calli a volte cieche e dell’interruzione improvvisa dei vicoli su un canale…
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