Nel novembre del 1951 l’editore Vallecchi di Firenze pubblica in prima edizione Bestie del 900. Il libro è una raccolta di 12 racconti di Aldo Palazzeschi, correlata da un ricco contributo illustrativo: accompagnano i testi 46 immagini di Mino Milani, di cui 17 in bianco e nero. Nel risvolto della sovraccoperta un ritratto inciso e in bianco e nero di Palazzeschi suona come richiamo e avvertimento: “Lasciatemi divertire”, dice. Come nel titolo del suo componimento poetico più noto, la canzonetta che ognuno di noi gli associa. Il tono del libro è fissato quindi in due parole, e mantenuto, nel testo come nelle immagini, per tutto il libro.
Alla parodia ironica sulla confusione uomini/animali, rintracciabile fin dal medioevo, Palazzeschi conferisce un carattere moderno, proponendo una visione sarcastica della contemporaneità. Vicende assurde e grottesche mescolano azioni e destini di uomini e animali, in situazioni paradossali e spesso ambigue. Col risultato che il ribaltamento di ruoli, di punti di vista, di logiche, porta il lettore a dubitare della saldezza del proprio giudizio. Chi è la bestia? Chi è l’umano? E ancora (e soprattutto) davvero l’autore si è voluto fermare al puro divertimento? L’ambiguità del gioco ha fatto spesso pensare ad un sotterraneo parlar nascosto, dove la stranezza e l’ironia permettono di nascondere contenuti meno leggeri e futili. Non è solo divertimento, infatti, quando agli animali si presta il dilemma dell’apparire, della finzione per convenienza e adeguamento agli schemi sociali (nel racconto del vecchio leone vegetariano) o l’odio represso del debole (nella storia d’apertura con la gallina ovaiola che cova uova e odio per la propria padrona-massaia).
Di sicuro il lettore è sconcertato, perché Palazzeschi non tiene sempre lo stesso sguardo, non prende solo un partito, ma si sposta, sottolinea con ironia affinità e diversità tra uomini e animali, mescola le carte, dà una visione complessa delle situazioni. Dialettica e ambigua, a volte paradossale e inaspettata, ciò che viene rappresentata è semplicemente la vita, in tutta la sua complessità e contraddizione.
Mino Maccari rileva e trasporta nelle immagini la stessa ironia e forza immaginifica. I contrasti, le sorprese e le sfasature dei racconti, vengono tradotti in incisioni su linoleum con segno immediato, a volte riassuntivo a volte più descrittivo, che si avvale di tutte le peculiarità della tecnica. Nelle tavole a colori Maccari lavora a più matrici, usando il fuorisquadra, lasciando qui piccoli sprazzi di bianco, coprendo là porzioni più ampie con irregolari macchie in à-plat, ma poi anche sovrapponendo o trattando la materia con scavi più consistenti, componendo figure o intere porzioni con risultanti di linee sottili, tratteggi incrociati, texture più complesse.
La scelta cromatica è ardita: i colori sono squillanti e spesso accostati con discromie e abbinamenti sorprendenti, tonici e luminosi. Il risultato è di estrema libertà, giocosità e vivacità. La lezione fauve è compiuta, i Nabis sono alleggeriti dallo spirituale e la veemenza espressionista ha perso il suo carattere denunciatorio più violento ed esasperato.
Pesci, farfalle, cani, formiche, leoni, coccodrilli e pappagalli sfilano accanto agli esseri umani in dodici quadretti pieni di sarcasmo e vivace confusione. Ma la confusione più profonda è quella che proviamo dal senso stravolto di ogni avvenimento, che a volte viene addirittura capovolto, non per fini moraleggianti o di denuncia, ma con sarcasmo e leggero disincanto. La favola delle formiche e delle farfalle potrebbe allora diventare il simbolo dell’intera raccolta: la disputa tra gli insetti tra chi abbia un migliore e più stimabile stile di vita, pare propendere per la leggerezza e la libertà delle farfalle?