Alberi. Creature, simboli, personaggi, architetture viventi. Ettore Sottsass diceva che "Quando non sai cosa fare, mettici un albero". Un suggerimento che mi ha sempre divertito, soprattutto per la naturalezza birichina che può scaturire da un grande personaggio dal quale ci si aspetta una frase capitale, una formula magica, un nuovo dogma.
Ho inaugurato la mia stagione di alberi con L'arbre lecteur, un albero dotato di caratteristiche eccezionali, come foglie prensili, capacità di leggere (una vera passione per Jules Verne) e attitudine alla socialità.
Da allora gli alberi hanno accompagnato i miei progetti e molti di questi sono diventati albi illustrati. Dall'albero magico de L'arbre lecteur a quelli lussureggianti ed esotici racchiusi nel Colosseo de La louve et l'anglais, ogni mio libro si può dire abitato da alberi.
Ne La grande aventure du Petit Tout, il bambino spaesato e "spezzato a metà" dalla separazione dei genitori, uscirà simbolicamente dall'intricata selva dei suoi non risolti per giocare tra gli alberi con il fratellastro, finalmente accettato e amato.
Agli alberi ho affidato spesso l'eco del testo, per amplificarne il tono, la visione, il carattere. Quello che i tra le righe, i non esplicitati, i non per forza raccontati a parole hanno di pregnanza in una storia. Così ne Le gâteau de paix gli alberi scarni e spinosi assomigliano ai bambini inselvatichiti. Quelli che costeggiano i campi, oramai sterili campi di battaglia, diventano una teoria di legni aspri e secchi, protesi verso un cielo plumbeo e invernale.
Ed è in un boschetto che sparisce Jules, personaggio de Te fais pas remarquer, ragazzino cui da sempre hanno chiesto di conformarsi, di essere come tutti gli altri. Lezione imparata così bene, che Jules è diventato trasparente, si è confuso col paesaggio ed è sparito agli occhi di tutti.
Ma questa è solo la punta dell'iceberg: i miei taccuini pullulano di alberi. Ritratti nella grafica dei rami spogli o nella ricchezza di fronde lussureggianti, sono il mio costante esercizio di bonheur.