sabato 30 settembre 2023

Nuove stampe/3

Ecco una nuova serie di stampe: tre biglietti stampati in linoleografia a due matrici (e due colori) su carta Graphia 270 gr. Inserto interno per scrittura in carta di riso giapponese, rilegato a filo in contrasto. 




Ulteriori dettagli ed informazioni via e-mail. Seguite il blog o Instagram per gli aggiornamenti.


mercoledì 27 settembre 2023

L' Essenza del the

Oggi si festeggiano i 22 anni de L'essenza del the, uno dei luoghi di Milano più preziosi per me e gli amanti dell'infuso che più che una bevanda è un'intera filosofia di vita, un modo di essere. 

E si festeggia anche un debutto di collaborazione, del quale sono particolarmente felice. Da oggi infatti potrete trovare in negozio una mia piccola selezione di monotipi e tirature limitate a soggetto, che si ispirano appunto, giocano e ammiccano all'antica bevanda. Il tempo di una pausa per se o in condivisione, godendo il tatto e la vista di un oggetto fatto a mano, il profumo e il gusto di un liquore cordiale, sono esattamente le intenzioni dei miei piccoli cofanetti associati al the. 

Inizio di collaborazione felice e in divenire, perché presto ci saranno altre belle novità...



mercoledì 20 settembre 2023

Nuove stampe/2

 


Joringhello è una linoleografia a tre matrici di 25x30cm, stampata in tre colori su carta Graphia 120gr. e tirata a 20 esemplari numerati firmati. Per informazioni scrivetemi una e-mail.

Joringhello, 4 matrix (four-color) linoprint of 25x30cm on Graphia 120gr paper. Edition of 20 numbered and signed copies. (For sale: DM)

venerdì 15 settembre 2023

Nuove stampe/1

Da oggi, e con cadenza settimanale, troverete qui una serie di nuove incisioni su linoleum. La prima è "Jorinda", linoleografia a quattro matrici (e quatto colori) di 25x30 cm, su carta Graphia 120 gr, tirata a 20 esemplari numerati e firmati. Per informazioni, scrivetemi in privato.



venerdì 8 settembre 2023

I libri d'artista di Maurizio Olivotto- Intervista

Uscita in versione parziale nel settimo numero della rivista AWAND, ripropongo qui in versione integrale l'intervista a Maurizio Olivotto. Corroborata da un nutrito numero di immagini dei suoi magnifici libri d'artista, la conversazione mette luce la ricchezza ed eccezionalità di un lavoro metodico, appassionato e originale.


Nato a Bressanone nel 1953, Maurizio Olivotto si è formato ad Urbino e Firenze, seguendo studi di incisione, disegno animato, illustrazione e grafica. Artista fuori dagli schemi, il suo lavoro non somiglia a quello di nessun altro cui si cerchi in qualche modo di riferirlo o accomunarlo. Pur evocando e rielaborando temi e spunti rintracciabili in esperienze artistiche e letterarie note, il suo carattere rimane a parte, in un margine che ha un valore contemplativo vivissimo, eppure pieno di energia brulicante. La sua ricerca è personalissima e proprio per questo è rimasta lontano dalle temporanee mode o tendenze o scuole che si sono avvicendate nel campo dell’illustrazione e in quello della grafica d’arte negli ultimi decenni. Il 18 maggio scorso al Museo d'illustrazione di  Cesky Krumlov (in Repubblica Ceca), una delle poche collezioni permanenti di illustrazione al mondo, si è inaugurata una ricca retrospettiva che mette insieme l’opera grafica dell'artista dagli anni Ottanta ad oggi. L'esposizione rimarrà aperta fino ai primi giorni di ottobre.


Il metodo di Maurizio Olivotto si potrebbe paragonare a quello di un alchimista. Colui che con costanza, curiosità e spiritualità ricerca la sublimazione della materia. O quella del giardiniere. Una figura cioè che coltiva con cura e pazienza una segreta intesa tra sé e il proprio giardino, e tra questo piccolo spazio di creazione e il resto del mondo. Tutto però commisto ad una dose di spontaneità e divertito fatalismo. Quel che colpisce è lo sguardo sempre curioso eppure straordinariamente coerente, la profondità mescolata alla levità, la forza e il metodo stemperati con ironia e leggerezza. A creare il luogo, un po’ magico, un po’ sospeso, in cui gli opposti possano finalmente riunirsi. 


Di Maurizio Olivotto si conosce l’opera grafica ma è soprattutto nei libri d’artista unici che, secondo noi, si trova (e a volte si nasconde) con maggiore pienezza la sua poetica. Sfogliare un suo libro è sempre un’esperienza che si compie in un tempo sospeso, ideale, che impegna tutti i sensi, la ragione e il cuore. 




L'abbiamo incontrato a Firenze, sua città d'adozione. "Un innamoramento" come ci racconta, avvenuto negli anni della formazione e mai venuto meno. Firenze ma anche la Toscana, dove albergano gli spiriti chiari di Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Giotto, Piero della Francesca, tra gli artisti che l'hanno più ispirato. La regione dove da anni ha deciso di stabilirsi e di vivere un quotidiano che respira nella bellezza del territorio un legame con l'uomo e un passato artistico armonioso a bello.



TR: Quando hai capito che una delle forme artistiche che ti esprimeva meglio era il libro d’artista?

 

MO: Dopo avere usato per anni fogli sciolti per i miei appunti, che a volte venivano perduti o dispersi, ho deciso di raccogliere tutto in brogliacci o album. La loro forma era molto semplice, a volte si trattava di carnet pratici soprattutto da portare in viaggio. Proprio di ritorno da un viaggio, mi sono accorto che quei diari pieni di appunti, schizzi e idee spontanei, avevano nel loro insieme un valore estetico e una consequenzialità molto interessanti. Da lì ho cominciato a lavorare in modo più mirato, su idee e soggetti decisi in partenza. Sono stati i miei primi libri d’artista, nati per caso.



TR: Quali sono stati gli incontri che hanno indirizzato il tuo lavoro? Non parlo solo di persone, ma anche di letture, opere d’arte che ti hanno stimolato, formato...

 

MO: Ci sono stati diversi incontri. A quindici anni, per esempio, ricordo la scoperta di Paul Klee: sono rimasto letteralmente rapito dal suo lavoro. E in seguito con le sculture di Moore. Fra l’altro, è dopo avere visitato una sua retrospettiva al Forte Belvedere di Firenze che ho deciso di stabilirmi in quella città. Poi, è stato determinante l’incontro con Magdalo Mussio, anche lui incisore. Questo incontro ha cambiato radicalmente il mio rapporto col fare artistico. Con lui ho imparato a tenermi fuori da schemi preformati e dal vincolo a volte soffocante della tecnica. Quello della tecnica è un vero problema. Aderisco del tutto all’idea di Steinberg (uno dei disegnatori che amo di più) che vuole la tecnica un mezzo e non un fine. Un altro artista che mi ha influenzato moltissimo è Marcel Duchamp. C’è poi anche la musica, che per me è fondamentale, nella vita e nel lavoro. Non potrei lavorare senza. Bach, Satie, Miles Davis, per fare alcuni esempi. Accompagnano la mia creatività, suggeriscono immagini, tematiche, evocano mondi. E poi, naturalmente, la letteratura. Borges e Calvino tra tutti. Il Calvino della leggerezza de Le lezioni americane e delle Città invisibili, in particolar modo. Ed infine, ma non per ultimo, la vita e le esperienze vissute, i miei figli, i miei affetti e tutto ciò che di bello colpisce e stimola la mia curiosità. 


 

TR: Sempre rispetto ai tuoi riferimenti, guardando le tue cose mi vengono in mente gli antichi bestiari o gli erbari, i codici miniati, che spesso completavano con estrema fantasia non solo ciò che si sapeva, ma anche ciò che si credeva. O le carte geografiche e le mappe antiche, raffigurazioni di idee più che di mondi esistenti, dalle coordinate paradossalmente precisissime, ma con mostri stravaganti e terribili nelle porzioni di terre o mari inesplorati…

 

MO: Sì, sì, quell’iconografia mi ha sempre divertito tantissimo. Anche perché intrisa di simbologie. Quel che mi attira di quei riferimenti anche è la sapienza nella struttura, la capacità nel comporre la pagina integrando poi non solo il disegno ma anche i testi, scritti a mano o stampati. Sono composizioni di estrema ricchezza, creatività e insieme di grande equilibrio formale. Un altro autore per me fondamentale è Dürer, sia come disegnatore che come incisore.



TR: Il multiplo d’arte, realizzato sia in calcografia che con altre tecniche a tirature limitate (xilografia, litografia etc), è un medium un po’ elitario. Il libro unico lo è ancora più. Si tratta, in sostanza, di un privilegio per pochi. Perché preferisci questo tipo di referente? Non sembra una forma di snobismo, ma di condivisione selettiva.

 

MO: Potrei risponderti in molti modi, ma quello che mi viene più spontaneo è questo: se siamo in pochi possiamo incontrarci davvero, esprimerci, conversare con calma. Se siamo in tanti bisogna alzare la voce per capirci, passare ad un'altra velocità. Questo non fa parte della mia personalità. Fare libri d’artista è un esercizio estremamente riflessivo e intimo, che vuole tempi lunghi e questo bisogna riuscire a trasmetterlo anche a chi guarda. 

 

 

TR: C’è quindi un suggerimento per la fruizione?

 

MO: Sì, in un certo senso… Il luogo ideale per esporre libri d’artista per me sarebbe uno spazio sobrio, dove le persone si concedono tutto il tempo per sfogliare libri, scambiandosi delle opinioni. Il libro d’artista è un’opera d’arte che si sottrae all’esibizione. La condivisione può avvenire tutt’al più in modo intimo o comunque ristretto. Ai miei libri d’artista poi cerco di dare dei significati nascosti, inserisco simbologie ed elementi da scoprire poco per volta. Mi piace che posseggano un’aura di segretezza, di magia. Gioco con l’alchimia e l’esoterismo, con i loro simboli, senza però nessuna presunzione, senza pretesa sapienziale.

 


 

TR: A proposito di alchimia, un parallelismo che mi viene facile fare è tra il procedimento alchemico e quello calcografico, che tu hai molto praticato. Un aspetto interessante dell’incisione è l’elemento casuale, accidentale, che improvvisamente apre a possibilità non programmate. Infatti può capitare che l’acido morda in modo incontrollabile e non prevedibile. Lo stesso succede nei tuoi libri unici, dove la carta e gli inchiostri agiscono e reagiscono a volte in modo inaspettato. Come accogli questi incidenti?  Come li trasformi?

 

MO: Sono incidenti bene accolti. Il caso entra sempre nella vita e spesso questo crea nuove possibilità impreviste, riflessioni, scoperte. Si tratta di incontri. Li trovo stimolanti, a volte illuminanti. Ma sento il riferimento all’alchimia particolarmente calzante anche per un altro motivo: la ricerca dell’alchimista è certo finalizzata a realizzare qualcosa ma è importante tutto il processo, le tappe che portano là. Lo stesso lo ritrovo nel fare artistico. È il percorso, anche praticato in modo istintivo e spontaneo, che porta a cambiare i punti di vista, fa sgorgare l’inconsueto. Nella pratica delle arti ma anche nella vita, direi. 

 


TR: Sempre rispetto al caso, all’errore generativo: mi pare che questo elemento nei tuoi libri d’artista alleggerisca contenuti che potrebbero diventare esercizi intellettuali un po’ fini a sé stessi. Invece c’è sempre un carattere giocoso nelle tue cose, una sprezzatura.

 

MO: Penso dipenda dal fatto che non sono mai riuscito a prendermi troppo sul serio. Non mi sento un “portatore di verità”, né come artista né come docente, ma casomai un dispensatore di dubbi (ride). In fin dei conti considero molto importante nel mio lavoro l’aspetto ludico, giocoso. Il divertimento e l’ironia sono salvifici. E poi non credo che per dire cose sensate sia necessario essere noiosi.




TR: Parli di “gioco” ed è davvero l’impressione che si ha sfogliando i tuoi libri. Il fare artistico è gioco per te?

 

MO: Sì, credo sia una componente fondamentale nel mio approccio artistico. Non a caso uno dei miei artisti preferiti è Duchamp, la sua arguzia divertita, l’intelligenza nel maneggiare l’assurdo, il nonsense, i rimandi colti sempre inseriti con leggerezza. Duchamp, in un’intervista alla radio francese degli anni ’60, disse che lui sapeva sans le savoir, un divertentissimo gioco di parole nel doppio significato di senza saperlo/senza il Sapere che mostra bene il concetto di casualità e leggerezza. Rispondeva così al giornalista che gli chiedeva se la sua arte avesse una valenza alchemica: “Se ho fatto dell’alchimia, è stato nel solo modo oggi ammissibile, vale a dire senza saperlo”. Disse anche che gli artisti amano credere di essere completamente coscienti di ciò che fanno, del perché, del come eccetera. Invece Duchamp non ci credeva per niente. Credeva sinceramente che un’opera fosse fatta tanto dall’artista quanto da chi la guarda. E proprio in particolare sul libro d’artista, affermava che si chiama così, “libro d’artista” sia “se un artista lo fa o se un artista dice che lo è”.

 



TR: Caliamo l’interazione artista/fruitore nella forma peculiare del libro. Lo spazio non è solo grafico, in due dimensioni: c’è anche l’esperienza dello spazio-tempo, l’atto cioè dello sfogliare. Di questo tieni conto nel comporre i tuoi libri? Esiste un piano, una mappa che segui nel predisporre la sequenza delle pagine o il procedimento è più spontaneo che studiato?

 

MOÈ l’uno e l’altro. Procedo cioè in modo sia spontaneo che studiato. Di solito parto d’istinto: mi procuro un carnet e lo sfoglio, perché mi deve piacere al tatto. A volte scelgo la carta e mi faccio preparare il libro da un legatore. Quando il libro è ancora intonso, inizio a tenerlo tra le mani. Lo manipolo, lo conosco, gli voglio bene. Generalmente per i libri ai quali lavoro senza una storia o un tema preciso, intervengo inizialmente in alcune pagine a caso, con schizzi, stesure di colore, foglia d’oro o d’argento, inserti e collage. Devo sentire che il libro mi appartiene. A quel punto lo riprendo dalla prima pagina. Spesso in apertura scelgo un aforisma o una poesia, come filo conduttore o tono alla successione di pagine.

 

 


TR: A sentirti parlare, viene subito da chiederti: quant’è importante per te la fisicità del libro, la sua sensualità? Che valenza ha per te il lavoro sui materiali? 

 

MO: Nel mio lavoro sono imprescindibili il tatto, l’olfatto. I sensi più primitivi, spontanei. Ma anche l’udito. Il frusciare delle carte sottili sfogliate è diverso dal rumore delle carte più spesse. L’esperienza sensoriale è fondamentale nella mia ricerca creativa, ma direi nella nostra vita, in ogni attività umana.

 


TR: Parlando di tecniche e medium che prediligi (il libro d’artista) tutto va controcorrente, nel senso che è letteralmente opposto a ciò che viene usato oggi. Sembra quasi che tu ti diverta a mettere a punto un procedimento inverso: nei tuoi libri è importante lo svelamento graduale, il vedere meglio, il cogliere la connessione tra le cose. La ricchezza degli stimoli induce lo spettatore a guardare e riguardare, c’è una somma, una stratificazione, cerchi un’alternativa che si sottrae ai ritmi e agli intenti attuali del creare immagini? 

 

MO: Non credo ci sia la volontà precisa di andare controcorrente. Penso sia semplicemente un modo di lavorare che mi assomiglia. Al mondo della velocità, della pubblicità, l’autocelebrazione, della mancanza di moderazione e consapevolezza, preferisco un modo di vivere e di rapportarmi alla vita abbastanza diverso. Preferisco la riflessione e la delicatezza. Un modo di essere e agire sicuramente più lento ma più rispettoso.

 


TR: L’incontro tra opposti è un elemento che sostiene la tua ricerca in generale (non solo nei libri d’artista). Tra metodo e spontaneità per esempio, o connubio tra caratteristiche grafiche discordi. Penso anche alle diverse qualità del nero e i dialoghi cromatici. Oppure tra segni grafici che hanno caratteri totalmente differenti o tra materiali diversi. In che modo lavori con gli opposti?

 

MO: L’incontro tra gli opposti è il senso primario e fondamentale della nostra esistenza. L’unione tra essi regola l’universo: maschile e femminile (che da origine alla vita), giorno e notte, e così via. È ciò che il simbolo dello yin e dello yang, opposti in amore e non in contrapposizione, rappresenta in oriente fin dall’antichità. Come potrebbe questa tensione primordiale non influenzare il nostro lavoro?



 

TR: Ho un’ultima riflessione e domanda da farti: nei tuoi libri ogni pagina è lavorata, si ha l’impressione che sia il risultato di un processo che l’ha resa diversa da com’era prima. É come se fosse un supporto che restituisci dopo una trasformazione. Torniamo all’alchimia?

 

MO: Su alcune immagini ritorno più volte. Spesso, dopo giorni, riguardo e se sono insoddisfatto rifaccio. A volte posso essere così deluso dal primo risultato da coprire tutto o porzioni di pagina, con foglia d’oro o d’argento o strati di nero. Quello diventa allora un nuovo punto di partenza. A volte rifaccio la pagina completamente. Direi che allora sì, si può parlare di una trasformazione, di procedimento alchemico.

 

E su questo la nostra intervista finisce, con l’impressione di avere per un attimo potuto sbirciare nell’officina del mago. Ma nel salutare Maurizio Olivotto, raccogliendo gli appunti dell’incontro e riandando a tutte le cose dette, non possiamo fare a meno di pensare alle immagini di cui ci ha parlato, anche a quelle che si nascondono in alcune pagine dei suoi libri. Cioè ai ripensamenti, gli strati nascosti e le sovrapposizioni cancellate che nessuno vedrà mai, ma che sono parte di quel processo di “trasmutazione alchemica” per è servita per arrivare all’immagine ultima, visibile.



Crediti fotografici: la prima e l'ultima immagine sono di Federica Olivotto e Marco Salviati; tutte le altre sono di Angelo Barone. Ringrazio tutti e in modo particolare Maurizio Olivotto per avermi dato la possibilità di sfogliare e consultare i suoi preziosi libri d'artista e di avere accordato la riproduzione qui di un gran numero di immagini.