sabato 14 marzo 2020

Diorama


Veduta della prima Esposizione Universale del 1851 al Crystall Palace, paper peepshow conservato al V&A Museum di Londra. La foto è mia.

Si dice sia stato il tedesco Martin Engelbrecht (Augusta 1684-1756) ad inventarli. Ma quelli che si diffusero poi ovunque in Europa con il nome di diorami, erano una pratica consueta per gli scenografi. Nati come modellini in scala per riprodurre e studiare meglio gli apparati delle rappresentazioni teatrali, queste vedute tridimensionali si affermarono rapidamente come genere a sé stante. 



In alto e in basso, Martin Engelbrecht, gukkastenbilder, XVIII secolo. Il secondo è montato su cornice originale. Entrambi sono conservate al V&A Museum di Londra.



Vedute ottiche, diorami, gukkastenbilder, paper peepshows, con le dovute differenze, sono tutti parenti dello stesso genere di piccolo spettacolo, intrattenimento domestico o pubblico (a seconda delle dimensioni e della complessità) che si diffonde in tutta Europa a partire dal XVIII secolo. Forma di precinema dalla quale in realtà non deriva direttamente il cinematografo, poiché quest’ultimo è piuttosto l’evoluzione dalla lanterna magica, il cui principio è proprio all’opposto: lo spettacolo non avviene all’interno di una scatola cui viene assegnato un punto di vista, un foro da cui guardare, ma è da quel foro che viene proiettata l’immagine, secondo i principi ottici della camera chiara.


I diorami si diffondono rapidamente come teatrini tridimensionali di dimensioni variabili, dove la profondità viene ricreata inserendo su guide delle quinte montate in telai di legno e variamente disegnate e dipinte. La possibilità di mutare diversi sfondi, spesso traslucidi o traforati per poter essere retroilluminati, permettevano svariati cambi di scena e situazione. Un gioco di specchi assicurava l’illuminazione sia all’aperto che in interni (tramite candele o lumi). Effetti di cambiamento giorno-notte, di apparizioni di personaggi (a volte con elementi snodati mossi da fili), di alternanza di paesaggi, di sostituzioni, permettevano narrazioni ricche e complesse.


Giandomenico Tiepolo, Mondonuovo, 1759, affresco staccato dalla villa Tiepolo a Zianigo e conservato al Museo di Ca' Rezzonico a Venezia.

E’ a Venezia che per tradizione si fa nascere il diorama come forma di spettacolo pubblico. Nella città lagunare nel XVIII- XIX secolo si afferma e diffonde il mondoniovo o mondonuovo, una forma di spettacolo ambulante popolare molto apprezzata. I temi erano perlopiù d’attualità e raccontavano eventi reali particolarmente spettacolari. La decapitazione di Maria Antonietta, per fare un esempio, era uno degli spettacoli preferiti sul finire del XIX secolo e gli inizi di quello successivo. La ditta Remondini di Bassano del Grappa, storici stampatori di vedute incise, diventa in questo periodo una vera e propria scuola di pittura di diorami


Vedute ottiche della ditta Remondini animate con gli effetti di giorno/notte

Il legame con la realtà, con l’aspetto didattico ed informativo dell’intrattenimento, è alla base di tutta la ricca produzione di paper peepshows del XIX secolo. Il Victoria and Albert Museum di Londra possiede la più ricca ed interessante collezione di paper peepshows d’Europa, anche grazie al generoso lascito della Jacqueline and Jonathan Gestetner Collection.




Copertina di un diorama con il Crystall Palace, 1856, V&A Museum

I temi di questi diorami sono svariati: esposizioni universali, grandi imprese della tecnica, eventi importanti della storia, ma anche scene di vita quotidiana cittadina, con strade e mercati. Oppure si mostrano città lontane che non ci si poteva permettere di visitare, bellezze artistiche, località balneari, montane, mete esotiche. 







In alto: Puppet theatre del XVIII secolo e H.L. van Hoogrstaten, Groenmarket, The Hague, 1860 circa, conservati al V&A Childhood Museum di Londra. Il Groenlarket e altri diorami dello stesso autore sono stati animati da George Eksts e sono visibili a questo link.



Paper peepshow del Crystall Palace di Bailey&Rawlins, 18 ,V&A Museum, Londra

Fin da subito si cercano effetti sorprendenti, inserendo cambi di scena o elementi semitrasparenti che opportunamente illuminati potevano trasformare la stessa veduta in un battito di ciglia.






In questo diorama francese dell'Ottocento, conservato al V&A Museum di Londra, si vedono inizialmente delle pacate vedute di Parigi, di giorno e di notte. Mano mano però vengono inserite delle scene più sorprendenti, come la spiaggia di Dieppe che rivela un paesaggio notturno romanticamente illuminato da un terribile incendio navale sullo sfondo. O un'immagine diurna di un tunnel in costruzione, dal quale, nella successiva veduta notturna, spunta una sbuffante e tecnologicamente avanzata locomotiva a vapore.



In alto: veduta di un diorama con la costruzione del Thames Tunnel del 1835; in basso: Promenade à Longchamp del 1827.


Nella nutrita collezione del V&A Museum, si trovano diorami di ogni tipo, alcuni disegnati da nomi celebri, come l'artista e esploratrice Maria Graham.


Vedute dell'Angostura dipinte da Maria Graham, 1835, V&A Museum, Londra.

Il 10 luglio 1862 il fotografo Carlo Ponti deposita a Londra il brevetto del suo megaletoscopio, scatola ottica perfezionata per la visione di fotografie dioramiche. Si tratta di un visore che utilizza fotografie in vece di disegni o incisioni. Ci si avvicina al kinetoscopio di Edison. La fotografia sostituisce il disegno e la stampa. E si avvia a cercare soluzioni per ricreare immagini in movimento: nasce il cinematografo. I diorami diventano allora oggetti desueti, balocchi per bambini. Alcuni dei produttori che si erano già divertiti a declinare soggetti fiabeschi e ad avventurarsi nel mondo infantile, sviluppano ora il genere in tutte le sue declinazioni. paper peepshows avranno allora nuova vita e un'ulteriore evoluzione, più maneggevole e pratica, con i tunnel books e i libri pop-up.



In alto alcuni esempi di libri illustrati per bambini col principio del diorama in 3D. Sono tutti degli anni 70 dell'Ottocento e sono stati prodotti dalla ditta Dean&son, tra le più note e prolifiche del tempo.


Per ulteriori approfondimenti sul tema: il sito del Victoria and Albert Museum di Londra è molto semplice ma ricco di spunti e link utili.


Crystall Palace, paper peepshow verso 1851, V&A Museum, Londra

sabato 7 marzo 2020

Ritratto senza persona

Come si può ritrarre qualcuno senza rappresentare la sua immagine? Senza mostrarla, anche se filtrata o interpretata?

La scorsa estate alla Tate Modern di Londra veniva esposto il progetto di Catherine Opie 700 Nimes Road, insieme di due progetti riuniti Closets and Jewels e 700 Nimes Road, un'intera sala allestita con decine di fotografie per ricostruire il ritratto di una persona molto nota, Elizabeth Taylor. 


In questo insolito ritratto, la persona non viene rappresentata attraverso la sua immagine, ma attraverso le immagini degli spazi e degli oggetti della sua casa di Bel-Air, in California. 


Nel lavoro di Catherine Opie sono le stanze e le cose che le riempiono a raccontare, precisare e definire per somma successiva la persona. Deserte di presenza umana, ma piene degli oggetti che quella presenza umana ha scelto, usato, accumulato, conservato nel corso di una vita. 

Il procedimento usato è quindi controintuitivo: si mettono a fuoco i margini, la cornice,  per definire il centro; si usa uno sguardo indiretto, accidentale, per mirare più acutamente. Il risultato è sorprendente: la ricostruzione della persona ritratta è più profondo e penetrante, più autentico.



Lo sguardo dell'artista sceglie per fotografare le stanze un punto di vista oggettivo, privo di commenti, se così si può dire. Si sofferma poi sui dettagli. A volte sono accumuli seriali di oggetti dello stesso genere, abiti o scarpe, per esempio. 


Altre volte sono zoom su gioielli preziosissimi ma anche carichi di significati affettivi, sui quali l'artista sceglie di posare uno sguardo sfocato. 


A volte l'obbiettivo fotografico si avvicina oltrepassando i limiti della forma (e della riconoscibilità, dunque) degli oggetti, per cogliere visioni macro di dettagli ingigantiti, trame, tessuti e materiali diversi.



Altre volte ancora coglie l'incongruenza e la surrealtà di certe vicinanze d'oggetti, che parlano della fragilità intima della persona, della banalità del quotidiano, l'abbandono stucchevole di certi ninnoli, dello struggimento del vuoto. Penso alla stanza con le tende a sbuffo e la soffice moquette pastello, con il primo piano banale del lavatesta. E più ancora al libretto delle istruzioni del telecomando sorpreso di fianco alle foto di amici e affetti scomparsi, a ninnoli e souvenir comuni.






Gli oggetti parlano di ricordi pregnanti: avvenimenti importanti, legami, episodi tristi, festosi, drammatici, esaltanti, senza scegliere, senza priorità o congruenza. La ricchezza vera e l'opulenza kitch, l'eccezionalità e la banalità si fiancheggiano. Ecco che allora l'essere umano è ricomposto, quasi in filigrana e malgrado il personaggio.





Del volto dell'attrice, uniche immagini presenti, scorgiamo solamente qualche foto poggiata sulle mensole ingombre di cose e la celebre serigrafia di Warhol, ma sulla cui superficie protetta da un vetro, si riflette l'immagine della stessa Opie colta nell'atto di fotografarla.


Il progetto nasce da un incontro fortuito (come racconta la Opie, l'attrice e la fotografa avevano lo stesso commercialista) e riecheggia la serie fotografica Graceland di William Eggleston sulla casa-museo di Elvis Presley a Memphis. Ma quello, appunto, era un museo, un sito-memoriale del cantante già scomparso. Come puntualizza la fotografa in un'intervista, in questo caso invece la casa era ancora abitata da Elizabeth Taylor, nessuno era ancora passato a "ripulirla" degli oggetti comuni e banali del quotidiano nell'intento di farne un mausoleo alla memoria studiato e calcolato.

Per un ulteriore approfondimento, qui di seguito una presentazione del progetto da parte della stessa artista in un video.


Le prime due foto dell'articolo sono mie, le altre sono state prese dal sito del Moca e della galleria Lehmann Maupin, dove la serie completa è stata esposta.