venerdì 15 marzo 2019

La casa degli uccelli


Il mio nuovo albo La casa degli uccelli, su un testo di Davide Calì, uscirà nei prossimi giorni in libreria per i tipi di Marameo edizioni, una giovane casa editrice svizzera. L’albo verrà presentato il 2 aprile alle 11.15 al Café Illustratori della Fiera del libro per ragazzi di Bologna.

La storia ritraccia il destino di molti bambini immigrati in Svizzera negli anni ’70, attraverso il racconto particolare di un ragazzino italiano di 11 anni. Realtà e finzione si mescolano, dando più forza e permettendo un più alto grado di sincerità al racconto.


L’accoglienza dei lavoratori stranieri in Svizzera (fino agli anni ’80) esigeva un sacrificio inumano: lasciare i propri figli. I più fortunati tra questi rimanevano nei luoghi d’origine con nonne, zie, cugini. Un destino diverso era riservato agli altri: o una vita lontano dalla propria famiglia in collegi di frontiera dove i genitori venivano di tanto in tanto a trovarli (quando potevano permettersi il lusso del viaggio) o una vita da clandestini. Nascosti fin dal confine, questi bambini non esistevano più. Senza possibilità di andare a scuola, di uscire, d’incontrare chiunque, imparavano pian piano a diventare silenziosi, trasparenti. Si cancellavano, diventavano dei fantasmi.

Per questo libro ho usato un linguaggio molto simile a quello cinematografico (l'ultimo La louve et l'anglais era piuttosto teatrale). La doppia pagina diventa uno schermo, i fotogrammi colgono l’azione in modo più o meno ravvicinato. Come in un film, la telecamera si sposta, dilata o restringe il campo visivo, si focalizza su alcune azioni, le segue. 

Ma l’illustratore ha più libertà, la sua materia è molto più duttile e permette degli slanci e una libertà maggiori. Questo mi ha permesso di raccontare per immagini la favola nascosta nella storia vera, quella che trasforma un vissuto difficile in resistenza, in esperienza accettabile e anche appassionante, avventurosa. Potere delle passioni, tenacità, incontro con l’altro e condivisione. Ecco la carica gentilmente sovversiva e irresistibile (sovversiva e irresistibile in quanto gentile) di un testo magnifico.
Al primo risguardo è affidato il preludio. L’immagine silenziosa di un treno in viaggio attraverso le Alpi, carica di allusioni: qualcuno è partito, il treno che lo porta non si sa ancora dove s’addentra in una galleria. L’orizzonte chiuso delle montagne sfuma lontano. La storia può cominciare.

Un passo indietro, quello stesso treno aspetta in stazione l’ora della partenza. La stazione di Milano. Sotto la sua volta di ferro e vetro un gran numero di viaggiatori, e tra questi una moltitudine di migranti, sono partiti verso il resto dell’Europa. Facciamo la conoscenza dei personaggi, l’attitudine ci suggerisce il loro ruolo nel racconto. Tra le varie possibilità abbozzate, ho scelto quella che aumentava l’effetto scenico del vuoto, la differenza di scala tra esseri umani e architettura, l’orizzonte bianco ancora da disegnare. Ho eliminato le scene da film neo-realista, coi viaggiatori accalcati pieni di bagagli d’ogni sorta, perché prevedibile, troppo caratterizzato, documentario. Avrebbe dato un imprinting sbagliato al lettore. E avrebbe impedito, dicendo tutto e troppo presto, lo svelarsi graduale della storia. 

La storia, è il ragazzino a raccontarcela in prima persona. La sequenza d’immagini sfila seguendo il suo racconto. A questo racconto ho affiancato immagini e dettagli che valgono come strade parallele e sotterranee alla voce narrante. E’ un procedimento che uso spesso, una volta stabiliti i confini della fedeltà al testo (fedeltà alla quale credo e mi attengo scrupolosamente) e che mi permette di nutrire il racconto di rivoli convergenti che precisano con la loro ricchezza il brandello di esperienza narrata, proprio come nella vita. Oggetti, animali, sguardi ci dicono molto degli esseri che appaiono, agiscono, vivono tra le pagine di un libro mettendo in scena la loro storia. A volte è come se l’immagine sfocata delle comparse aumenti la messa a fuoco degli attori principali.


Ecco il protagonista, il dialogo con l’oggetto che ha in grembo chiarisce molte cose. Anzitutto che non ha importanza il paesaggio che sfila dal finestrino. La scatola che il bambino avrà con se per tutto il libro è ciò che lo compone, riunisce i pezzetti sparsi del suo piccolo passato. Sapremo poi che il disinteresse per il paesaggio si estenderà per il momento anche alle persone.

In questo contesto, all’apparenza di così grande disincanto e di poca disposizione all’apertura, l’incontro con l’altro avviene in modo sorprendente e salvifico, con un tempismo che solo la vita vera riserva. Come una fantomatica apparizione, un giorno la ragazzina/fantasma della storia si mostra al protagonista. E’ il perno sul quale tutto urta e gira.

Fin qui il racconto ci aveva trascinato in un crescente mistero: i rumori che si sentono di sopra a chi appartengono? O a che cosa? Forse il libro che stiamo leggendo ci sta suggestionando…

La tensione vissuta dal ragazzino lo porta a fare strani sogni. Per questa immagine ho abbandonato la visione da incubo abbozzata all’inizio e ho preferito creare un’immagine da sogno, dove si mescolano realtà, ricordi d’infanzia (il fagiolo magico che cresce in una sola notte, le fantasie spaventose del ragazzino, e il suo gatto, posto letteralmente a guardia del suo sonno). In effetti, i bambini amano essere spaventati, ma se l’immagine è troppo forte, la scacciano, nell’impossibilità di reggerla, di includerla. E in ogni caso preferisco quando si offre la paura insieme ad un antidoto per vincerla.


Nel libro poche immagini ci mostrano la città. Ho comunque usato l’arrivo del ragazzino nel suo nuovo appartamento per mostrare Basilea, riconoscibile dalle guglie della sua veneranda chiesa. E’ qui che la nostra storia si svolge.

La maggior parte delle scene si svolge in interni: le scale del palazzo, l’appartamento del ragazzino, la mansarda.



E’ una storia di prigionia, fino a che i bambini riescono a rompere le sbarre della loro cattività. Come? Prendendo il volo, letteralmente.

Volo d’uccelli, volo di bambini: scompaiono i confini della mansarda angusta e spenta, si esce al sole, si sorvolano i tetti, le ali di questa bambina misteriosa possono portarmi lontano e in alto. Ali di rondine, che parte sempre verso dove fa caldo.

Il tema che mi è molto caro del potere dell’immaginazione infantile prende qui nuovo slancio e nuovo risalto. Va più lontano: accudire e mantenere viva la nostra immaginazione, prendersi cura dei nostri sogni, è un tirocinio fondamentale che facciamo nella nostra infanzia e che non dovremmo dimenticare una volta cresciuti. Un diritto che si trasforma in dovere di sostentamento, similmente a quello per il nostro corpo materiale.

Ma gli adulti hanno dimenticato. E in sovrappiù hanno una strana idea di giustizia. Il volo degli uccelli sarà per sempre spezzato. I grigi, gli azzurri, i bruni ritornano, il rosato della ragazzina se ne va con lei. Sembrerebbe che il finale drammatico è dietro l’angolo e che la gioia è stata una chimera inutile ora infranta. Invece il finale si prende un altro spazio. 

Naturalmente vi nasconderò la fine. Ma il colpo di scena è assicurato. L’epilogo ci porta lontano, mantiene le promesse fatte durante tutto il libro. Anche di più. E in questo preciso istante ai diritti già citati prima, aggiungo quello della speranza.
Dal particolare all’universale, finiamo per renderci conto che la storia è quanto mai attuale e assomiglia in modo sorprendente a ben più vicini esempi contemporanei. E’ il potere di certe storie. E mi sento piuttosto fortunata ad averla tradotta in immagini dal mio punto di osservazione.
E su questo, vi lascio al simbolismo degli schizzi alati de LA CASA DEGLI UCCELLI, prima di sfogliare tutte le pagine del libro e di scoprire il suo potente finale.